|Se esistono le parole per dirlo, è possibile|

Viva Walter

Non sono uno scalatore. La montagna e il suo mondo sono un contesto che mi spaventa, di cui ho timore, di cui provo rispetto e di cui spesso non mi sento all’altezza. Quelle volte in cui faccio delle semplici passeggiate (perché questo è il massimo che faccio in montagna) aspetto sempre dalla Montagna un segnale di legittimazione, una sorta di lasciapassare: “Ok Giulio, puoi passare…”
Forse proprio perché conosco talmente poco questo mondo, ne sono altrettanto curioso e mi affascinano le storie e le imprese degli scalatori, il loro bisogno e la loro fame di rispettosa esplorazione. Per questo motivo, sapere che è mancato Walter Bonatti mi ha lasciato un po’ incredulo e smarrito per qualche minuto.

La sua storica impresa di scalata del K2 nel 1954 fu tra le prime cose che mi raccontò mio nonno, a cui non piaceva raccontare la favola del Pifferaio Magico o leggermi storie illustrate, ma storie di uomini che fecero la storia. Mi colpì talmente tanto la sua storia che finii per chiamare un mio peluche proprio come il suo hunza: Mahdi. Lui, Walter Bonatti, il più giovane, il più “sfigato” di una spedizione di uomini che portavano nomi da impresa eroica come Ardito Desio – detto Il Ducetto – o Achille Compagnoni, a cui per 50 anni non fu riconosciuta alcuna gloria, ma solo calunnie in un momento in cui l’Italia proprio come oggi cercava il riscatto e aveva bisogno di eroi.

“Non si può raggiungere la vetta se si procede guardando la vetta”, ma solo tenendo gli occhi su i piccoli passi e porzioni di percorso che via via facciamo. Se si procede guardando la vetta ci perdiamo il viaggio, ci perdiamo i momenti, ci perdiamo l’essenza del viaggio, che come la vita è fatta di attimi.

Ogni cosa è illuminata

“Ho riflettuto molto sulla nostra rigida ricerca, mi ha dimostrato come ogni cosa sia illuminata dalla luce del passato… dall’interno guarda l’esterno, come dici tu alla rovescia… in questo modo io sarò sempre lungo il fianco della tua vita e tu sarai sempre lungo il fianco della mia vita.

Pensi che io sia bellissima? Gli chiese un giorno e si appoggiò al tronco di un acero pietrificato. No, ha detto. Questo perché tante ragazze sono meravigliose. Immagino centinaia di uomini che oggi hanno chiamato i loro amori meravigliosi ed è solo mezzogiorno. Non puoi essere qualcosa che centinaia di altri sono.
Questo è amore, pensava, non è vero? Quando si nota l’assenza di qualcuno e odi quell’assenza più di ogni altra cosa?”

Ogni storia nasce da un’assenza.

Ogni cosa è illuminata | J.S. Foer

Ricomincio da qui

“Pregai una piccola stella lì fuori per la felicità della sua anima.
Che anche gli dei potessero apprezzare le parti migliori di lei, la sua figura sottile. Che potesse avere un letto incredibilmente soffice, con sopra un baldacchino, e un vino del paradiso di straordinaria dolcezza. Che potesse rinascere in una dimensione favorevole. Così pregai.”

Banana Yoshimoto, H/H.
20110628-113628.jpg
Mesi passati ad ascoltare, leggere, far di conto e ora…scrivere…di nuovo.
Perché oltre a che cosa tiene accese le stelle, c’è anche chi le tiene accese.

Estetica(mente)

Oggi inizia il circo milanese della settimana della moda. Le gabbie sono ufficialmente aperte. Largo a modelle, fescionblogghers, stilisti, curiosi, fotografi, gente che “cioè io lavoro nella moda”, fenomeni da baraccone. Tra sfilate, casting, shooting, showcase ed after-party, si rischia di perdere di vista una cosa molto semplice: l’estetica.

Guardate le persone e non vi concentrate: troppa fatica a scremare la cultura delle immagini che impedisce di capire cosa veramente vi piace guardare. Gradite una persona od un paesaggio nella misura in cui tale persona e tale paesaggio somigliano all’ideale di persona e paesaggio che avete dentro, tutto il resto è merda, è indifferente, a volte non lo notate neanche. E non avete neanche il coraggio di risalire la corrente per giungere all’origine del vostro gusto estetico. Per carità, potreste scoprire che vi piacciono irrimediabilmente le ragazze brutte! Che figura ci fareste con i vostri amici se sapessero che avete un’insana perversione per i tagli, per le macchie, le ossa che spuntano? Sarà un caso, ma i vostri gusti combaciano con i canoni estetici che nascono e cambiano quando i canoni estetici cambiano. Non importa se discutere dei gusti altrui sia inutile, anche perché trovo oltraggioso che qualcuno ritenga i miei gusti una autosuggestione che serve solo a dare contro ai gusti delle altre persone. Forse se mi facessi un tatuaggio con scritto “osservazione” capireste che cosa faccio tutti i giorni, io! Sì, perché voi capite solo i tatuaggi, gli orecchini, i piercing, gli occhiali, le pettinature, i vestiti, i siti internet, le fotografie ritoccate, le fotografie che mostrano solo una parte di quello che c’è da vedere, le copertine, i giornali, i disegni un po’ grafici perché il tratto ormai è scomodo, i disegni sporchi apposta, perché per farvi capire che qualcosa è estemporaneo ed improvvisato bisogna scrivervelo sotto a caratteri totalitari. Capite i film se qualcuno che vi sta simpatico ve li spiega, altrimenti non vale nemmeno la pena di sforzarsi di stare due ore seduti in poltrona, perché, dio mio, potreste vedere qualcosa che non vi piace! La soluzione per voi? I film in bianco e bianco, muto! Il giornale di una pagina, vuoto!

E così sia.

 

Chi ce lo fa fare?

A volte facciamo cose di cui noi per primi non ne comprendiamo il perchè… non ne comprendiamo le motivazioni.
Chi me lo fa fare di mettere la sveglia alle 6.30 di domenica mattina (la più fredda dell’anno), salire in macchina, guidare per tre quarti d’ora e correre 11 chilometri a Ponte dell’Olio (-4°C)?
Forse il bisogno di ritrovarsi e bere un caffè in un Circolo per Lavoratori con qualche anziano intorno che sfoglia la Gazzetta e nessun “giacca-e-cravatta” che gioca con le applicazioni dei quotidiani. Il bisogno di guidare per la pianura padana, verso le colline, dove una nebbia che fa molto Mastino dei Baskerville di Sherlock Holmes lascia via via spazio al sole e alla prima alba del 2011 a cui assisto. Forse quel bisogno di estremo che sotto sotto c’è in ciascuno di noi, perchè se lo sport è praticato con meteo avverso ci piace ancora di più; nel nostro piccolo vogliamo sentirci un po’ eroi.
Forse il bisogno di lasciarsi alle spalle un inverno piovosissimo in cui mi sono sentito immobile e veramente in letargo. Bisogno di prendere distanze… bisogno di correre verso qualcosa. Bisogno di un traguardo, e poi di un altro e un altro ancora, senza pensare a limiti.
Bisogno di correre con qualcuno 🙂
Bisogno di ascoltarsi. Non capisco chi corre con l’ipod. Io faccio molta fatica a correre con la musica nelle orecchie, anche quando sono solo. Mi impedisce di ascoltare se e come sto respirando, il ritmo che sto tenendo, i rumori, il cuore.
Certo, correre 11 Km non è chissà quale distanza eroica, ma era un passo che andava fatto, per allontanarsi… per avvicinarsi.

Sono contento. Punto.

Ah, dimenticavo: Buon 2011!

Maledetto Indie-Rock

Questa mattina, Mario De Santis (mitica voce di Radio Deejay e ora a Radio Capital) scriveva sul suo Facebook: “stare sveglio da presto, leggendo un libro di poesie in pigiama e non avere postumi da sbronza e non avere foto scattate con l’iphone in un locale figo di Milano da postare su FB per testimoniare quanto sono pazzo con i miei amici creativi e la bionda di turno”. Parole giuste al momento giusto che mi permettono di rispolverare dalle bozze un vecchio post mai pubblicato su coloro che si atteggiano da Indie-snob.

In principio furono gli Anni ’80.
Si viveva in un mondo con gli Smiths e Joy Division e solo dopo i New Order, Simple Minds e, a loro modo, pure gli Spandau Ballet. E come potrebbe essere diversamente, anche se in molti giurano di no. Ma insomma, questi Hurts che ultimamente sono sulla bocca di tutti i fescionisti e fescioniste, pensate davvero si siano inventati qualcosa di nuovo?

Anyway… non so ancora bene che piega prenderà e dove andrà questo post che mi frulla nella testa da un po’ di tempo. So solo che volevo parlare di New Wave che ha a che vedere, per forza di cose, con gli Anni ’80, ma non necessariamente con l’Indie che però è un termine che oggiggiorno per Milano fa tanto creativo ed è sulla bocca di tutti quelli che vogliono fare i ricercati… perciò lo userò anche io 😉

Mi muoverò con i piedi di piombo, anche se, detto tra me e voi, mi sento molto più portato a creare e consigliare playlist, piuttosto che …come si dice… outfit. Però era da tanto che non parlavo più di musica o la condividevo con voi.
Dove eravamo rimasti? Ah si, New Wave!

Avete presente, no? Questi tipi, col ciuffo, i vestiti attillati (skinny), spesso neri o il ciuffo piastrato (o peggio ancora rasatura sopra le orecchie e capello come se fosse leccato da una mucca), i vestitini stretti, le giacchette striminzite e le scarpette a punta, o le bluse ampie e le bretelle come gli Hurts di cui vi ho parlato sopra, ma soprattutto la voce: profonda.
Indie sta per indipendente e la prima volta che mi approcciai a questo termine e alla sua musica mi trovavo a Londra, varcando la soglia del Camden Palace. Curioso per la “Indie Night” pensavo di trovarmi dei frikettoni che suonavano dei sitar elettrici, un po’ alla Kula Shaker e seguivano qualche filosofia orientale. E invece no, loro stavano già tutti un pezzo avanti a me. Che poi in quel periodo i miei principali fornitori di musica in Cd e ancora qualche musicassetta erano Muzak di Casale (RIP), Napster (RIP) e un certo sito che si chiamava Last FM, che in realtà c’è ancora, ma non ti spaccia più musica aggratis. Ma quanto è faticoso stare al passo con gli Indie?!?

Quindi, faccio l’Indie-Snob e vi suggerisco la mia personalissima Indie-Lista, dove alcuni dei gruppi sono vecchie glorie… come il sottoscritto.
No, scusate, il sottoscritto è solo vecchio.

Interpol – No I in threesome
Editors – The racing rats
White Lies – To lose my life
Arcade Fire – Rebellion
Primal Scream – Can’t go back
The Bravery – Honest mistake
Hard Fi – Suburban knights
Scitdisco – Reactor Party
The dead 60’s – Riot radio
The Faint – The geeks were right
The Drums – Let’s go Surfing
The Hacienda – 1 AM
The Strokes – Last night
Babyshambles – Carry on up the morning

L’ultima Zingarata di Mario

“Ma siamo sicuri che non è uno scherzo? E’ morto davvero?”
“Che vuole? Che sia morto per finta?”
“Da lui questo ed altro…”

 

Onestamente me lo sono chiesto anch’io. Lui, che di bischerate e di zingarate ne ha fatte un sacco. Questa sera è morto uno di noi.
Mario porta il nome di mio nonno, e proprio lui me lo ha fatto conoscere portandomi al cinema di Casale a vedere Amici Miei Atto III. E’ stato però con i Miei Amici che è diventato un cult.
Da Noi non verrai dimenticato… come se fosse antani.

“Porca la puttana come vorrei venisse fuori un funeralone… migliaia di persone tutte a piangere, e corone telegrammi, bande, bandiere, puttane, militari”

D: Con l’avvento del digitale abbiamo vissuto una dilagante diffusione di accessibilità alla produzione di immagini. Alcuni credono che questo abbia abbassato la qualità in generale della fotografia. Lei che ne pensa?

R: L’accessibilità non è il problema. Mi ricordo di quando, con l’arrivo delle macchine con l’esposimetro incorporato, e poi automatiche, molti si lamentavano che “ormai tutti potevano fare delle fotografie”. La fotografia è sempre stato un artigianato facile, accessibile. Ma anche nelle arti “difficili” i mediocri sono sempre stati la maggioranza. Non è l’accessibilità che fa la differenza. La differenza la fa la comprensione del mondo, la passione per quello che si ama o si odia, la capacità di raccontarlo, la capacità di inventare strumenti adeguati al tempo che stiamo vivendo. Altro che digitale.

Lo tengano in mente anche certi colleghi psicologi o pseudoterapeuti che dovrebbero mettere ogni tanto la testa fuori dal loro studio e smettere di ricondurre TUTTO a Sigmund Traumatizzatodalpadre Freud. Non potete continuare a vivere in un’epoca diversa da quella dei vostri paziente. Svegliatevi cazzo!

Non è un tutorial sulla fotografia macro.
Quando scrivo sul blog faccio tendenzialmente confluire una serie di idee, bozze, bozze di idee appuntate giorno dopo giorno sul cellulare, agenda, o post-it, che poi il mio (ancora per poco) jurassico PowerBook G4 traduce in caratteri digitali. In tre giorni di Residenziale del CMTF a Genova – che, con il massimo rispetto per tutta la vita a De Andrè, è diventato un bell’eco-mostro sul mare – di appunti me ne sono presi. Oggi è domenica e, come tutte le ultime domeniche, c’è un bel tempo di merda. Sono in camera mia a Casale; quando ero piccolo echeggiavano per la casa le cronache dagli stadi di Tutto il Calcio Minuto per Minuto… oggi sento Fini ciurlare nel manico e non dire nulla di sinistra, ma solo sinistre affermazioni. Vorrei essere come il mio eroe Hiro Nakamura, in grado di piegare lo spazio tempo, ed essere con chi* oggi sta lavorando a cui non può che volare il mio pensiero ed il mio abbraccio.
Non mi resta che girare nervoso per casa guardando un po’ fuori dalla finestra, leggendo l’ultimo numero di Internazionale (ma vedere l’opinione che il mondo ha dell’Italia mi fa solo venire l’ulcera), leggendo “La terapia come costruzione sociale” (…niente di nuovo), surfando tra blog che sono solo sbrodolate di vita (…lo pensate anche di Frenkology?!?).
Mi incontro col Pizza per un caffè prima che riparta per Berlino, estraggo il mio totem dalla tasca e comincio a fissarlo. I miei occhi sono su una focale f/2.8, mettono a fuoco prima i centimetri più vicini e poi quelli più lontani. La vita è un gioco di centimetri, come diceva Al Pacino in Any Given Sunday, che fa la differenza non solo tra il vivere e il morire, ma anche tra tra ciò che siamo e ciò vorremmo essere, tra ciò che è importante mettere a fuoco e ciò che può rimanere sullo sfondo.
Ecco, sapete che faccio? Prendo un bel foglio, un pennarello verde (fa molto Renzo Piano, lo so…) e comincio a tracciare qualche centimetro.
Per unire, non per dividere 😉